La sponda magra del Lago Maggiore

Un lago, due sponde, due realtà diametralmente opposte. Questo è il Lago Maggiore; da una parte Arona, Verbania e Stresa, dall’altra Laveno, Luino e Angera. Tutte città contraddistinte da una location  straordinaria, eppure la differenza c’è ed è evidente. Analizziamo i motivi che hanno contribuito a formare una sponda “magra” e una “grassa”.

La storia

l’origine di tutto è da ricercare nel periodo rinascimentale. Nel 1535, infatti, gli Asburgo di Spagna prendono possesso di gran parte del territorio lombardo e piemontese che si affaccia sul Lago Maggiore. In questo periodo queste zone sono vessate continuamente dall’intransigenza e avidità della nuova casa regnante, l’economia ne risente e il commercio riduce la sua portata.

Una prima differenziazione la osserviamo nel 1714, in questa data gli Asburgo cedono la sponda occidentale al ducato di Savoia, mantenendo l’area orientale. Sotto la nuova dominazione, si ha un miglioramento delle condizioni generali, la pressione fiscale diminuisce e contadini e mercanti riescono ad ampliare le proprie attività e il proprio reddito. Il regno degli Asburgo, nel frattempo, continua il suo inesorabile declino. Successivamente, dopo la breve parentesi napoleonica, il Lago entra a far parte del Regno d’Italia.

La situazione oggi

Si dovrebbe auspicare che dopo più di 150 anni, la situazione fosse ora sotto controllo e lo sviluppo equo. E, invece, no: se da una parte il turismo è una risorsa e garantisce introiti importanti, sull’altra sponda il settore terziario fatica ad attecchire. Questo è dovuto principalmente dal fatto che il Piemonte ha avuto la possibilità di eseguire investimenti importanti sul versante di sua competenza, mentre la Regione Lombardia si è ritrovata tra le mani un territorio isolato e scarsamente servito, con delle grandi potenzialità che però non è ancora riuscita a mettere a frutto.

L’economia

Sulla sponda magra, le attività locali stentano a decollare. Qui luoghi di interesse come la Rocca di Angera e l’Eremo di Santa Caterina sono come cattedrali nel deserto. Attorno al polo principale di attrazione turistica non sorgono negozi, o altre attività ricettive. Lo sviluppo manifatturiero del XIX e XX secolo ha di fatto messo in secondo piano la vocazione ricettiva. È così che ormai l’eremo e siti simili sono sì visitati, ma in modo rapido e spesso piuttosto frettoloso. Ciò è inevitabile, perché dopo aver esplorato il monastero, rimane poco altro da fare al visitatore.

I servizi

Un’enorme disparità si riscontra anche per quanto riguarda la mobilità e l’organizzazione. Sulla sponda magra (soprattutto zona Santa Caterina) si vive isolati; se non si ha a disposizione un’ auto l’unica risorsa sono i costosi taxi. Gli altri mezzi, come le navette, sono incostanti nei periodi di attività. Era presente anche una rete ferroviaria, ma venne chiusa per scarso utilizzo. Reti di trasporto a parte, le guide professionistiche sono merce rara e questo scoraggia in particolare i turisti più facoltosi. Questi ultimi tendono a storcere il naso anche per via delle strutture di ricezione piccole e spartane.

Dopo aver chiarito quali siano i problemi del luogo e il motivo per cui sussistono, non ci rimane che mandare un appello a tutti gli amministratori della Provincia e dei Comuni coinvolti. È auspicabile un impegno forte e mirato, per permettere ai molti dei gioielli affacciati sul Verbano di poter ottenere la giusta valorizzazione.

 

Mirko Tessari, Simone Pupo, Marida Pontrandolfi, Paolo Ferrara

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